Intraprendere la carriera solista per una che come Skin ha fatto parte di una band alternative rock capace di dare grandi soddisfazioni, gli
Skunk Anansie, non è cosa semplice. Eppure l'esordio della pantera, "
Fleshwounds", ha esito positivo. Si tratta di un album più che buono, che la stessa Deborah Dyer definisce come un "
ritorno alla voce". Questo, in effetti, si percepisce già dalla prima traccia, "
Faithfulness", la canzone più conosciuta dell'album e secondo singolo. Le prime strofe sono costruite proprio in modo tale da mettere in luce le capacità vocali della cantante per poi scoppiare in un ritornello rock, che serba anche un bel gusto elettronico. Il tutto accompagnato da un videoclip che gioca sui toni del bianco, del nero e del magenta e con la figura atletica di Skin (
http://www.youtube.com/watch?v=DnLwK_UKg-0). E si arriva così a "
Trashed", singolo d'anteprima dell'intero album: pezzo più che azzeccato, trattandosi del giusto compromesso tra eleganza e grinta, qualità che hanno sempre contraddistinto Skin. Ma "
Fleshwounds" non è una replica di quanto già ascoltato con gli SA, è un disco in cui ogni canzone ha un senso preciso e non è inserita a mo' di riempimento. Soprattutto, però, è un album in cui sono tante bellissime ballate a farla da protagonista. Tra queste, le prime due che incontriamo sono ricche di delizioso spleen: "
Don't let me down", la cui tematica rimanda a una sofferenza d'amore ("
I can't abuse your lust for life and the choises you choise...why have we broken now") e si ricollega a quella dell'altrettanto bella "
Lost", ("
you were a dream to me, now you're nothing but a heart that bleeds"), certamente uno dei migliori pezzi dell'album. Ma tra le due ballate è stato strategicamente inserito un brano più rock e sperimentale, che irrompe in questa docile atmosfera e a tratti ricorda le sonorità di "
Post Orgasmic Chill", "
Listen to yourself". Anche "
Getting away with it" è più tirata rispetto alle canzoni rimanenti: tra queste, troviamo "
The trouble with me", ballata molto easy che sarebbe stata perfetta come singolo, ma non risulta all'altezza degli altri pezzi lenti come "
Burnt like you", "
I'll try" e "
You've made your bed", quest'ultima contaminata qua e là dall'elettronica. Discorso a parte merita la canzone conclusiva dell'album, "
'Til morning", capace di dare vita a chi la ascolta a sensazioni non solo spirituali ma anche fisiche piacevoli e delicate. E' triste ma soave. Quella tristezza che in qualche strano modo riesce a regalare un sorriso, seppur malinconico. Quella tristezza che attraversa dentro. Che pervade ma non invade. Capita che in alcuni momenti riesca a perforarti i pensieri, sempre in modo soave però ("
Take these sore eyes, I've no use for them"). Ti ritrovi a pensare e addirittura a soffrire veleggiando sulle note morbide e leggere di questo piccolo capolavoro:
http://www.youtube.com/watch?v=IW4eiJ-liGQ
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