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    domenica 25 marzo 2012

    David Bowie, "Scary Monsters (and Super Creeps)"


    (1980; Genere: Synth Pop, New Wave)


    "Scary Monsters (and Super Creeps)" rappresenta il momento della liberazione per Bowie, il momento in cui dar pienamente sfogo alla sua indole controversa, al suo vestirsi di maschera grottesca e caricaturale (l’ingenuo e folgorante Pierrot di “Ashes to Ashes”), il momento in cui tirar fuori tutti gli spettri e le paranoie della sua anima avviluppata dalla cocaina. Per dipingere questo intenso quadro espressionista il dottor Jones chiama a raccolta anche la chitarra di Robert Fripp (chitarrista fondatore dei King Crimson), che con le sue pennellate saprà aggiungere sapienti tocchi cromatici all’opera tutta. Un’opera a tratti eccessiva, strabordante, ma coniugata alla freddezza di quel synth-pop che Bowie aveva abbracciato con eleganza e contribuito all’ evoluzione della stessa, grazie al lavoro svolto in “Low”, “Heroes” e “Lodger” insieme a Brian Eno. Disco completo poiché perfetta sintesi tra la New-Wave della Trilogia Berlinese e la Pop-Dance con cui viene solitamente identificato il Bowie degli anni ’80; le danze si aprono con la cavalcante “It’s no Game”, in cui fa capolino la sua voce strozzata nel contesto di un effetto coro quasi stonato, e quella nipponica di Michi Hirota, che la modula in modo tale da renderla combattiva, sfrontata, mascolina. Questa trovata, dichiarò Bowie, servì come critica contro certi retaggi maschilisti nei riguardi della geisha e quindi, in senso più generale, verso la donna.

    Ma il disco è un continuo susseguirsi di dissonanze, suoni frammentati e discordanti, come nella schizofrenica “Scream like a baby” o nella perfetta “Because you’re young”, forte della collaborazione di Pete Townshend (The Who) alla chitarra. Tanto è l’istrionismo del Duca Bianco che certi brani rasentano l’innaturalezza, quell’artificiosità che in qualche modo lo caratterizza e ne fa un Artista poliedrico dalle svariate facce. Ne è un esempio la perla dell’Album, “Ashes to Ashes”, un ritorno al Major Tom di “Space Oddity”, fattosi ora più introspettiva e autobiografica. L’astronauta che era andato nello spazio, diventando un vero e proprio divo sulla terra, assediato da media e fama, ora “sappiamo che è un tossico, confinato nell’alto dei cieli, raggiunge una depressione senza fine”. Un chiaro riferimento alla vita dello stesso Bowie e alla sua metamorfosi da quando era un ingenuo ragazzo capellone all’uomo inquieto e tormentato di adesso. Un requiem algido e sinthetizzato, accompagnato da un videoclip che farà storia, con quelle sue atmosfere fluorescenti e decadenti e le sue intuizioni brillanti e avanguardiste.

    Ma in “Scary Monsters” tutto è filtrato dall’ironia tipicamente bowiana, come in “Fashion”, in cui sono le mode, futili ed effimere, a essere ridicolizzate. Un funky ballabile, incalzante, fresco e sagace. O in “Teenage Wildlife”, invettiva sicuramente diretta all’ondata post-punk del momento; e in effetti le parole lasciano poco all’immaginazione: Sei un magnate dal naso rotto/uno dei ragazzi della new wave/La stessa vecchia storia travestita di nuovo/che viene avanti facendosi strada”. Dal punto di vista ritmico, il brano è un synth-pop sulla falsariga di “Heroes”.

    Non manca niente in questo disco. Compare anche la passione ancestrale e sempreverde di Bowie per le cover, con il rifacimento dell’elegante “Kingdom Come” di Tom Verlaine, 1969. Tantomeno le atmosfere claustrofobiche ed estranianti. Basti ascoltare la title-track, con la linea di chitarra pulsante e continua, quasi angosciante, creata ad arte da Fripp; un susseguirsi dei fantasmi bowiani messo su musica, a tal punto che la canzone sembra inoltrarsi più di quanto effettivamente è la sua durata. A chiudere il cerchio sovviene il reprise di “It’s no game (N.2)” che si presenta, però, più distesa e melodica dell’open-track. La sua funzionalità è certamente pratica: con essa si cerca, cioè, di infondere un minimo di compiutezza a un disco disorganico e disarmonico, dove queste caratteristiche non sono negative ma anzi divengono peculiarità che faranno una pietra miliare.

    Raising Girl consiglia l'ascolto di: "Ashes to Ashes"


    David Bowie, "Scary Monsters (and Super Creeps) : 8


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martedì 20 marzo 2012

James Blake, "James Blake"


(2011; Genere: Soul-Step)

Una voce Soul dotata di spessore cantautorale e intensità interpretativa, unita all'arditezza elettronica sulla scia della Dub Step che da qualche anno sta caratterizzando l'Underground londinese. In questo modo si potrebbe sintetizzare il mondo musicale di James Blake, classe 1989, giovanissimo producer britannico al suo esordio (ma aveva già pubblicato promettenti EP). Eppure sarebbe troppo limitativo.
Basterebbe soltanto ascoltare la cover che Blake ha realizzato di un già bellissimo brano, "Limit to your Love" di Feist, per capire che ci troviamo di fronte ad un talento cristallino e veritiero. Il giovine riesce a dare al pezzo quell'ebbrezza in più che gli serviva per elevarlo a piccolo capolavoro. L'ispirazione Soul è molto presente anche in altri brani, quali "To Care (Like You)", uno dei migliori dell'album, e la conclusiva "Measurements", intrisa di mestizia.

Lo stile vocale di James Blake è parecchio interessante, intenso e talvolta drammatico, anche quando la voce viene filtrata -molto spesso- dal vocoder. Non può non riportare alla mente quella di Bon Iver, brillante cantautore che negli ultimi anni sta ottenendo molti consensi, con il quale Blake ha collaborato per il brano "Fall Creek Boys Choir".

Quella di Blake è una Musica a suo modo intellettuale, chic, lontana dall'easy listening radiofonico. Ma non pretenziosa. Né tantomeno monotona; basti pensare all'impostazione "classica" piano e voce di "Give me my month" e metterla a confronto con la ripetitività tipicamente Dub di "I've Learnt to share", forte di un bass drop coinvolgente e del suono forte delle tastiere. O ancora le sonorità malate e claudicanti dell'opener, "Unluck", che però risultano molto soft rispetto al ruvido tappeto sonoro su cui si poggia "I Mind", la traccia più sghemba del'album, in cui i samples si mescolano e fondono tra loro.

Lo stile di Blake accarezza spesso e volentieri anche la Downtempo e l'Ambient. Il top di queste atmosfere Chill Out si ha sicuramente nel sound minimale di "The Wilhelm Scream", romantica, ripetitiva, leggerissima. Neanche a dirlo, cover di un brano del padre dello stesso Blake, il chitarrista James Litherland.


Adesso immaginate un cielo nuvoloso, con limature plumbee, di tanto in tanto spruzzato da qualche raggio di sole che riesce a fare capolino... E' in quel momento che ci si chiede "Ma pioverà o no?". Non lo si capisce. Poi un brusio di sottofondo che si fa più intenso e pare preannunciare un temporale estivo, cheto ma maestoso come solo la natura sa essere. ...E avrete ascoltato "Why Don't You Call Me?".

Come per i poeti dell'Ermetismo che elevavano lo spazio bianco del foglio a protagonista indiscusso della poesia, in Blake sono spesso i silenzi a parlare, quelle pause che all'interno dei brani non risultano mai come vacue. Al contrario, sono esse stesse a conferire pienezza di intenti alla composizione, come si nota soprattutto in "Lindisfarne I", pezzo che si avvicina moltissimo alla splendida Imogen Heap di "Hide and Seek".

L'omonimo "James Blake" è un album d'esordio, non dimentichiamolo. A prescindere da tutto l'hype che l'ha preceduto, si tratta di un disco straordinario, molto intimistico, quasi astratto: un Soul-Pop che fa uso intelligente e sofisticato dell'Elettronica. Delle volte si ha la sensazione che ci potrebbe essere di più e infatti manca ancora qualcosa per poterlo considerare un capolavoro. Ma si va molto vicini. Diamogli tempo e questo timido ragazzo riuscirà a trovare la propria maturità musicale.

Raising Girl consiglia l'ascolto di: "Limit to your Love"


James Blake, "James Blake" : 8



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Artisti simili a James Blake: Mount Kimbie

domenica 11 marzo 2012

Burial, "Kindred"


(2012; Genere: Elettronica, Dub-Step, Post Dub-Step)

Tutto ciò che gira intorno a Burial, alias William Bevan risulta misterioso e affascinante, dal momento che a lungo il ragazzo ha preferito mantenere l'anonimato, anche se la sua Musica opaca e perturbante andava sempre più velocemente ad inserirsi nei posti alti dell'Elettronica contemporanea. Finché, forse costretto da tutte le voci infondate che circolavano riguardo la sua identità, decise di rivelarne la vera natura. Poche persone sapevano infatti che, dietro al nome di Burial, si celasse un produttore musicale. Ma è solo una parentesi, Bevan è interessato a continuare la sua ascesa timida e genuina, fatta di idee musicali. Nient'altro.

Venerato da molti, odiato da altri, Burial si inserisce nell'ambito di una Dub-Step mai ordinaria, a suo modo sghemba e decadente. In quest'ultimo EP, "Kindred", composto da solo tre tracce, Burial lascia la ricetta quasi del tutto invariata rispetto ai lavori precedenti, ma la pietanza che ne vien fuori è comunque invitante e saporita. Un lavoro intimistico, urbano, venato da una gradevolissima atmosfera Lounge, che lascia la porta aperta anche ad Ambient e Pop.

La track di apertura, l'omonima "Kindred" risulta molto regolare, costruita su una base drum'n'bass costante e ossessiva, su cui si vanno a poggiare i soliti samples vocali disorganici eppure eterei, sempre affascinanti. Ma è in "Loner" che il ritmo si fa più palpitante, ossessivo, a tratti dissonante, per poi concludersi affogando in un climax un po' Soul un po' Etnico.

E' tutto qua il gusto sotterraneo di Burial, deliziosamente obliquo e talmente sbilenco che talvolta non si capisce dove voglia andare a parare. Anche se la conclusiva "Ashtray Wasp" sembra conferire un po' di omogeneità ad un lavoro in cui l'essere sconnesso diviene peculiarità preziosa. In questi ultimi undici minuti si sprofonda in un contesto quasi apocalittico, molto ombroso e ricco di sfumature stuzzicanti. Il tutto risulta comunque alleggerito da un tappeto di cori angelici e voci spezzate: un'esplosione caotica e sublime di samples pescati chissà dove ma che nel loro insieme rendono tutto così personale e trascendente.


Raising Girl consiglia l'ascolto di: "Ashtray Wasp"


Burial, "Kindred" : 7.8

Artisti simili a Burial: Massive Attack.

sabato 10 marzo 2012

Mina: "Mi piacerebbe collaborare con i Foo Fighters"



La notizia arriva da "Vanity Fair", ove la Tigre di Cremona possiede una propria rubrica. Una sua fan le chiede con chi le piacerebbe duettare e tra i nomi proposti sono presenti, tra gli altri, Adele, Madonna, Lady Gaga, Liza Minnelli.

Ma la spiazzante risposta di Mina è stata: "Nel vostro elenco mancano Sting, Tony Bennett, Anastacia e altri. Con ognuno di loro sarebbe interessante fare un progettone. Ma sai cosa? Mi piacerebbe assai fare un disco (accidenti, non mi sono ancora abituata a chiamarlo CD) con i Foo fighters. Pensa quanto sono pazza io... Il rock è sempre stata una passione che mi strappa i capelli. Mi piace in modo preterintenzionale. Non sembra, me ne rendo conto, ma io sono stata folgorata dall'arrivo di Elvis e compagni. Avevo quindici, sedici anni. E il mio innamoramento non passa. Anzi."

Chissà i diretti interessati se sapessero cosa ne penserebbero.

lunedì 5 marzo 2012

Jessica Allossery, "Learn"


(2010; Genere: Cantautoriato, Pop)

La nuova Lisa Hannigan. Chi è Jessica Allossery è presto detto. E' una ragazza canadese che si è fatta conoscere su You Tube, creando un proprio canale in cui ha pubblicato diverse cover di Artisti famosi come Coldplay e Adele. Si sa che come lei esistono migliaia di giovani cantautori e musicisti che cercano la fama passando attraverso la rete, ma il motivo per cui la giovane Jessica mi ha colpito risiede nella semplicità con cui si pone. Voce leggera, naturale, che richiama un'atmosfera bucolica, accompagnata dall'immancabile chitarra. Niente di eccezionale, niente di nuovo. Ma inutile dire che la sua versione di "Fix You" dei Coldplay trapela una grande sensibilità, mentre quella di "Someone Like You" di Adele, cantata e ri-cantata da chiunque voglia testare le proprie capacità vocali, è qui invece dolce, soave, mai forzata o urlata. Anzi, a volte sembra che la voce desideri insabbiarsi tra le pieghe dei ricordi che fuoriescono dalla canzone.

Ho parlato di lei come della nuova Lisa Hannigan perché le due cantautrici hanno uno stile molto simile; parlo dell'immagine ma soprattutto della vocalità. Inoltre, sin dal primo istante che ho sentito la Allossery l'ho associata a Damien Rice e Lisa Hannigan appunto, due cantautori che in più occasioni hanno splendidamente collaborato insieme.

Jessica Allossery ha pubblicato un Ep contenente quattro brani scritti di suo pugno, dal titolo "Learn". L'ingenuità che trapela da ognuno di essi è di una dolcezza disarmante: si va dalle filastrocche quasi puerili di "Abc's" e "Bill" a brani maggiormente strutturati, "Stay the Night", che parla dell'amore usando i colori pastello, come un bambino che disegna l'arcobaleno, e "Change the World". Quest'ultimo brano è la chiave di lettura del modus vivendi della giovane: è giusto cercare di cambiare il mondo, ognuno nel proprio piccolo, ognuno vivendo la vita e non lasciando che scorra via. Ognuno aprendosi alle cose belle e spontanee che ci sono o che posso arrivare, con solarità e atteggiamento positivo. Un messaggio semplice, così semplice da sembrarci banale, così semplice che nella vita di tutti i giorni ci dimentichiamo quanto sia importante.


Raising Girl consiglia l'ascolto di: "Change the World"


Jessica Allossery, "Learn" : 6.5


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